Per il quinto episodio della rubrica Inter Club Torino 1963: una Storia, tante Storie…, sabato 25 gennaio abbiamo incontrato Michele Santomauro, storico Socio e soprattutto barista del Bar Marconi, prima sede dell’Inter Club Torino.
Questa volta siamo andati fino a Guagnano, in provincia di Lecce, dove oltre a Michele abbiamo avuto il piacere e l’onore di incontrare Rodolfo D’Elia, uno dei padri fondatori del nostro sodalizio, il cui nome compare proprio sull’atto costitutivo che gelosamente custodiamo in forma originale nel nostro archivio.
Una pura coincidenza? Una storia di migrazione locale come tante altre? Non lo sappiamo esattamente, ma è particolare sottolineare come tre protagonisti della storia dell’Inter Club Torino siano nativi di Guagnano. Michele è in realtà di Minervino Murge (BT), ma da molto tempo ormai residente nella cittadina del leccese.
L’incontro è stato organizzato dal cugino di Michele, il nostro carissimo amico e membro dei Giovani Leoni Antonio Sabato – leggi l’intervista che abbiamo realizzato con Antonio.
L’accoglienza è stata calorosissima, anche grazie a Rosanna, moglie di Michele. E l’atmosfera non poteva che essere magica, resa ancor più vibrante dal racconto della storia del Club.
L’arrivo a Torino
Michele parte subito con il racconto della sua storia, comune a tanti altri che dal Sud sono andati via per cercar fortuna in settentrione.
Sono nato nel 1956, a Minervino Murge (BA), e nel 1966 mi trasferì a Torino con la famiglia, quartiere Vallette. Erano gli anni dell’emigrazione, Torino contava 400 mila abitanti, e durante l’industrializzazione si vedevano case sorgere come noccioline, là dove prima c’erano campi e spazi aperti.
All’età di 17 anni, tra il 1972 e il 1973, Antonio Barbato, barista del Barba (ndr. Amerigo Bongiorno, storico presidente del Club) e tifoso napoletano, che giocava nella squadra di calcio dell’Inter Club Torino allora esistente, mi fa assumere al Bar Marconi, dopo una prova di 15 giorni. Per me era un sogno, perché interista e invitato dal Barba in persona ad iscriversi a Club, oltre che a partecipare alle attività e alle trasferte.
L’incontro con la moglie
Come molto spesso è capitato, fra le fila del Club sono nate tante storie d’amore. Ed è anche il caso di Michele, che ha incontrato Rosanna proprio al Bar Marconi.
Conoscevo Donatella, una affezionata cliente del Bar. Un giorno la invitai a fare domanda di assunzione, e il Barba la accolse a braccia aperte. Prima di partire per il militare, mio cugino Antonio, in occasione di un veglione, invitò Rosanna (sua prima cugina) ad avvicinarsi al Club.
Al Bar Donatella e Rosanna si conoscono e nasce una grande amicizia, che porterà poi alla nascita della storia d’amore con il nostro Michele.
Nell’ottobre 1976, quest’ultimo parte per la leva, a Roma presso la caserma Cecchignola (Arma del Genio), accompagnato alla stazione dai ragazzi del Club che lo salutano con grande commozione.
In occasione di una licenza Donatella mi presentò Rosanna, e subito scattò qualcosa, il feeling fu immediato. Durante il servizio militare ci fu un intenso scambio di corrispondenze. Al mio rientro dal militare iniziammo a frequentarci. Il Club ci aveva uniti.
Ma la storia fra Michele e Rosanna non è la sola a svilupparsi in quel periodo. Infatti, anche Donatella trova l’amore, iniziando a frequentarsi con Valerio, il figlio del Barba, che diventerà poi suo marito.
Amerigo Barba Bongiorno
Una parte dell’intervista non poteva che essere dedicata ad Amerigo Bongiorno, come del resto anche tutti gli altri nostri amici con cui abbiamo condiviso l’esperienza di questa rubrica hanno fatto.
Il Barba aveva un’aria burbera, ma un cuore grande. Sotto il bar c’era una cantina, grande come il piano superiore, dove lui ospitava un senzatetto di notte, dove aveva allestito un giaciglio su una brandina. Aiutava anche un cieco, facendogli degli scherzetti bonari per farlo stare bene.
Era però durissimo contro i furbi e i faccendieri, li sbatteva fuori dal Bar. L’ambiente vissuto per circa 20 ore al giorno era sempre tenuto in ordine grazie alle regole imposte. “Il Club deve essere pulito, non deve gravitare nulla di sporco intorno o all’interno”, diceva.
Infatti, sebbene molti locali della zona fossero poco raccomandabili (come spesso avveniva nelle zone limitrofe alle stazioni ferroviarie, soprattutto un tempo), il Bar Marconi rappresentava un’eccezione. Ed anche i membri del Club erano costretti ad adottare comportamenti idonei, pena l’allontanamento.
Faceva di tutto per renderci felici. Ci portava i calciatori sul pullman, ci portava negli spogliatoi, a turno ci faceva entrare allo stadio (al Meazza era una personalità), regalava distintivi e la tessera. Ricordo delle visite improvvise di giocatori dell’Inter: “Un caffè per favore”, ti giravi e di fronte c’era Mazzola. Il Barba era come un passaporto, a Milano, in Società, ovunque. Era un’istituzione.
Il rapporto che aveva con Moratti e Fraizzoli certificava il suo carisma. Abitava dalla parte opposta a piazza Marconi. Quando la domenica non c’era la partita ed io facevo lo spezzato, andavo a mangiare a casa sua. Era l’occasione in cui orecchiavo tutte le sue telefonate col Presidente Fraizzoli, quando doveva organizzare il Gianduja d’Oro, con l’avvocato Prisco.
Michele ha vissuto Bongiorno sotto la duplice veste di amico e di datore di lavoro. Un punto di vista esclusivo che in pochi possono vantare.
Il suo animo era come quelli che al giorno d’oggi è difficile trovare: coinvolgeva i giovani, organizzava eventi, aiutava chi era in difficoltà. A quell’epoca si usava il jukebox, e lui tutte le mattine alle 6:00 metteva “Va pensiero”, ricordando la sua natura di alpino.
Ed anche in punto di morte del Barba, Michele in qualche modo può dire di essergli stato vicino.
Mio nipote era ricoverato all’ospedale Molinette, al tempo in cui Bongiorno era moribondo e anch’esso lì in cura. Di lì a pochi giorni, purtroppo morì.
Il Bar Marconi
Il regno del Barba era il Bar Marconi, un universo a tinte nerazzurre dedicato all’Inter Club Torino.
Ed anche chi vi lavorava all’interno, indossava i colori sociali dell’Inter: la divisa dei dipendenti del Bar era nera con bande azzurre. Il Barba ha creato tutto da un bar. In quel bar e in quel Club si poteva tranquillamente girare un film.
E del resto, il Marconi non era un locale come tutti gli altri, anche complice il fervido traffico della zona.
Intorno al bar girava tutto un mondo. Dalle 6 del mattino la zona di piazza Marconi era un condensato di persone, bus, mezzi intercomunali, negozi, uffici, dipendenti, tutti in movimento. Si è vista perfino la prima taxista donna, in quegli anni.
Poi c’era la parte serale della vita, che vedeva il Bar aperto fino alle 2:00 di notte.
La squadra di calcio
Il Club non era solamente aggregazione in occasione di partite e riunioni, ma si poteva toccare con mano l’impegno verso i Soci, che attivamente ne partecipavano alla vita.
Prova ne è la creazione della squadra di calcio dell’Inter Club Torino, in cui c’era spazio anche per Michele.
Io ero un terzino destro di valore. Facevamo i tornei, e c’era tantissima gente che ci seguiva. Roberto Di Carlo, mio grande amico, non giocava, ma non si perdeva una partita.
L’organizzazione dei bus per Milano
Quando l’Inter giocava in casa nel fine settimana, il venerdì era serata di festa, dato che si svolgeva la classica riunione e si organizzava il viaggio. Vi partecipavano anche i Soci, per cui i clienti non riuscivano ad entrare.
Nella sala c’era un tavolo da ping-pong (giocavamo assiduamente con Roberto Di Carlo), che per gli incontri associativi veniva coperto con una tovaglia nerazzurra ed usato come base.
Mediamente per Milano partivano due bus, si arrivava ad organizzarne anche cinque/sei quando si giocava contro Milan, Juve, e le altre grandi sfide.
I mezzi venivano preparati già dal mattino presto, immaginate cosa si addensava in zona bar, si parlava di 250/300 persone in attesa di partire. Durante il viaggio si familiarizzava, con Bobo (Emidio Piccioni, ndr) avevo un bellissimo rapporto, ci sedevamo insieme.
E nonostante le difficoltà legate al lavoro, Michele ci teneva ad essere presente alla vita del Club.
Col Barba c’era una sorta di accordo: lavoravo di più quando l’Inter affrontava squadre di rango inferiore a patto che mi riservasse un posto sul bus contro le grandi squadre.
Il Meazza
Delle mie esperienze allo stadio ricordo che, a differenza di oggi, le partite di inverno erano una vera e propria prova di resistenza. I seggiolini non c’erano, ci accoglievano le gradinate ricoperte di ghiaccio. Cercavamo di porvi rimedio col mitico cuscino, ma dopo un po’ si ghiacciava pure quello.
Nebbia, gelo, freddo, erano un ostacolo durissimo. All’epoca era tutto scoperto, il terzo anello non esisteva.
L’addio al Bar Marconi…
Al ritorno dalla leva, settembre 1977, in prospettiva del matrimonio, Michele chiede un aumento al Barba, ma la situazione non lo consentiva.
Nel 1978 mi licenziai dal Bar Marconi, accettando le condizioni economiche molto più alte della Birreria Mazzini, in via Lagrange. Il rapporto col Barba rimase comunque ottimo, tanto che mi chiamava saltuariamente per sostituzioni, anche per lavorare in occasioni di serate piene
L’addio al bar non ha comunque interrotto i numerosi rapporti creati.
Al matrimonio con Rosanna (22 luglio 1979) c’erano tantissimi amici del Club, che continuavo a seguire, tra i quali la moglie di Antonio Leone (componente del primo consiglio del Club e firmatario dello Statuto e dell’Atto Costitutivo, ndr).
Il Gianduja d’Oro
La manifestazione ideata proprio dal Barba non può che avere un posto speciale nel cuore di Michele.
Ricordo con piacere che tale evenienza coinvolgeva gli interisti di tutta Italia. Nello specifico, ho chiaro in mente una premiazione al ristorante “Il Mago” di Caluso, i partecipanti erano talmente tanti che non ci stavano tutti, nonostante le dimensioni enormi dei locali.
Il ritorno alla terra madre
Nel 1981 mi metto in proprio, avviando una latteria in via Saluzzo 85. Nel 1987 Rosanna ottiene il trasferimento all’ospedale di Lecce, e decidiamo quindi di lasciare Torino ed andare a vivere a Guagnano, sua città natale.
La vita a Guagnano scorre tranquilla, Michele infatti entra a lavorare in Regione e vi rimane fino al 2020, quando va in pensione, dopo ben quarantotto anni di lavoro.
Le emozioni finali
Michele ci congeda con le parole commosse di chi ha rivissuto attimi, istanti, anni belli ed indimenticabili.
Ho ancora quei momenti e quegli amici nel cuore… e sapere che a sessanta anni di distanza ci sono ancora persone che portano il Club avanti mi porta emozioni intense. Vorrei usare le parole del mio amico Roberto Di Carlo, per farvi capire: “avete preso una bella gatta da pelare…”.
C’è ancora tempo per un ultima battuta.
Dopo l’intervento al cuore il cardiologo mi ha detto che devo evitare le forti emozioni, poi siete sbucati voi. Vi ringrazio per avermi riportato a quegli anni e per il lavoro che fate, continuando a raccontare e a tener viva quella storia magica.
Inter Club Torino 1963