Una Storia, tante Storie..Intervista a Daniela Bongiorno – 20/02/2025

Per il settimo episodio della rubrica Inter Club Torino 1963: una Storia, tante Storie…, giovedì 20 febbraio abbiamo incontrato Daniela Bongiorno, figlia di Amerigo Barba Bongiorno, storico fondatore del Club.

E’ quindi la volta del racconto di una di famiglia, quella Bongiorno, che è e sarà indissolubilmente sempre legata alla storia dell’Inter Club Torino. Sono infatti bastati una stretta di mano e pochi sguardi per capire la carica emotiva che avrebbe portato con sé questo momento.

E giusto per non farsi mancare nulla, abbiamo invitato anche Jacopo, figlio di Daniela e nipote del Barba, grazie al quale del resto questo incontro non sarebbe stato possibile.

 

L’immersione fino alle origini

Dopo l’accoglienza calorosa e la preparazione della postazione, l’intervista inizia con Daniela che da subito dimostra una straordinaria carica e una forte emozione nel rituffarsi al tempo delle origini.

Mentre sfogliamo alcune foto e immergiamo a capofitto nel passato, inizia il racconto.

Papà si trasferisce a Torino con la famiglia a fine anni ’50, esattamente nel 1955, e preleva un bar (il Bar Marconi, ndr). Era un istrione simpatico, gestiva questa attività come un leader inclusivo, dimostrando fin da subito grande accoglienza.

Anche Daniela ha dato una mano alla famiglia nella gestione giornaliera del bar, ed in particolare prima di uscire per le lezioni universitarie.

 

Il microcosmo Bar Marconi

Intorno al bar gravitava ogni spaccato della società dell’epoca, e poco per volta spinto dalla passione per l’Inter ha pensato di creare il Club, grazie all’ampia base sociale a disposizione: dall’operaio (erano gli anni dell’industrializzazione) agli impiegati, dagli ingegneri fino ai contabili.

La zona al tempo era un punto nevralgico per il sistema di trasporto pubblico, fungendo da terminal per molte linee di autobus.

Confluivano bus da tutto il circondario del torinese: Trofarello, Vinovo, Piobesi, ma anche dall’astigiano e da altre province. C’era un esercito di pendolari. Il bar accoglieva ondate di persone, partendo dalle quattro del mattino partiva infatti il giro delle colazioni, anche grazie al contributo degli autisti che portavano tanti prodotti dai loro viaggi.

Più si entrava nel vivo della mattinata, più le presenze aumentavano.

Dalle sei alle sette era il turno dei lavoratori, mentre successivamente toccava agli studenti, in attesa di accedere ai plessi scolastici. Ricordo che quando al mattino arrivavano questi ultimi, papà li invitava subito ad entrare per ripararsi dal freddo. E pensando al Club, tali nobili gesti erano certamente un ottimo strumento di “arruolamento” per i giovani interisti.

Il flusso si alleggeriva poi dopo le otto e trenta, quando tutti erano ormai impegnati fra lavoro e scuola.

 

L’Inter come elemento di rivalsa

Il Club si è sviluppato, come dett0, durante il periodo dell’industrializzazione.

Erano anni di lotte operaie, e molti dei frequentatori del bar erano stipendiati FIAT, e per una forma di rivalsa nei confronti del padrone Agnelli c’era un autentico rifiuto nel supportare la Juventus.

Le persone non potevano sostenere la squadra di calcio di colui che era un bersaglio continuo di scioperi. Il Torino al tempo aveva poco appeal, ed ecco che l’Inter rappresentava un’ottima via di mezzo.

Ma al netto di questo, l’Inter Club Torino nasce nel periodo d’oro in cui si consolidava la Grande Inter, quindi era molto semplice attirare tifosi.

 

La televisione

Il carattere inclusivo del bar era garantito anche dal fatto che c’era la televisione, strumento che al tempo in pochi possedevano.

Molti, addirittura intere famiglie, frequentavano il locale per guardare i programmi cult del periodo (sicuramente Rischia Tutto, condotto da Mike Bongiorno, il quale durante l’infanzia abitava al numero 9 di corso Marconi). Ricordo, tra gli altri, una signora anziana con la figlia, il genero e il nipotino che venivamo a guardare i loro programmi preferiti.

 

La festa di Imbersago

Anche Daniela ha avuto la grande fortuna di partecipare alla festa di Imbersago a casa Moratti, toccando con mano la Coppa dei Campioni.

Io ero timida, ma con un papà così esuberante al fianco lo ero doppiamente. Mi vergognavo, però lui ha voluto portarmi. C’erano i giocatori, tra i quali Aristide Guarneri, che io conoscevo bene, quindi ci teneva molto che partecipassi. Infatti mi costrinse.

È stata una festa prestigiosa, con la partecipazione della Milano bene. Da Torino non eravamo in molti, anche perché c’erano già tantissimi invitati.

La partecipazione ad un simile evento non era da tutti, ed infatti ha dato tanto lustro al Club.

Mio papà era molto ferreo sui comportamenti all’interno del Club, diceva sempre: “siamo dei signori, noi”. Quelli un po’ più esuberanti avevano sempre qualcuno accanto che li stemperava. Quando il Barba è stato nominato Coordinatore Regionale ci siamo sentiti il Club quasi pilota. Bisognava essere correttissimi, c’era quasi una vocazione educativa.

 

L’amicizia con Guarnieri

Fra i vari calciatori di cui chiediamo un ricordo a Daniela, quello che certamente ha il peso maggiore è uno in particolare.

Sicuramente Aristide Guarneri. Avevamo legato proprio come famiglie. Papà ha addirittura partecipato al suo matrimonio.

E ci racconta anche un aneddoto.

La prima volta che sono salita su una Porsche è stato con Guarneri. Eravamo a casa sua.

 

L’impegno umanitario

Unitamente alle iniziative sportive si organizzavano attività di carattere umanitario, fin dall’inizio dell’attività del Club.

Ricordo bene la raccolta fondi per l’UGI, l’adozione di bambini in Africa, ed altre attività fatte per impegnarci dal punto di vista sociale. Le proposte che venivano dai vari Soci venivano discusse, pianificate e trasformate in progetti concreti.

C’è stato un periodo in cui il Barba ospitava un barbone all’interno del bar.

Papà aiutava molto gli altri, e anche grazie a questo a Milano aveva un certo peso.

 

I tesseramenti in tempo reale e le coppie

Discutendo sul Gruppo dei Giovani Leoni, Daniela ha un ricordo simpatico legato al figlio.

A proposito di giovani, dovete sapere che al tempo c’erano le tessere junior e senior. Sapete che c’erano anche tessere fatte nella prima ora di vita? Mio figlio Jacopo è tra questi.

Era infatti quasi una gara fra Soci. Se nasceva un bambino, allora bisognava tesserarlo immediatamente.

Jacopo conferma: la mia tessera riportava le ore due, firmata da mio nonno (il Barba). Le due e non l’una perché lui era impegnato a fare da testimone al matrimonio del futuro presidente Altobelli. Quindi sono nato durante il matrimonio di Aldo e Luciana.

Altra cosa simpatica è che all’interno del Club si faceva il tifo affinché si formassero delle nuove coppie, perché la speranza era quella di coltivare tanti piccoli interisti per il futuro. Una sorta di investimento in amore e quindi nel futuro del Club.

 

Le figure di spicco nel Club

Chiediamo a Daniela se ricorda qualche altro protagonista che contribuì, insieme al Barba e a Rodolfo D’Elia (leggi qui l’intervista a quest’ultimo), alla fondazione del Club.

E il primo nome che ci fa è quello di Pierluigi Cugnasco, che da Atto Costitutivo e Statuto risulta essere il primo presidente della storia del Club.

Papà era un leader inclusivo, ma non voleva essere il protagonista assoluto. Cugnasco era molto puntiglioso, preciso, e gestiva l’aspetto burocratico, partecipando poco alla vita del Club. Una persona meravigliosa, non era il tifoso che veniva alle partite. Era la garanzia che tutte le cose si facessero bene, come da suo ruolo.

È stata una persona influente nel Club, c’era una grande amicizia, e ci si frequentava. Quando è mancato avevamo ancora contati molto intensi.

 

Il rapporto con Fraizzoli

Ci soffermiamo sulla foto riportata sul Libro dei 40 anni del Club, dove il Barba e Ivanoe si baciano molto affettuosamente.

Non solo con Fraizzoli, anche con Moratti. Ma la foto con Fraizzoli, quella ce l’ho a casa in formato gigante. È una dimostrazione di affetto totale, si vede nella posizione delle mani, gli occhi chiusi, e lui che si lascia sopraffare.

 

L’affetto verso il papà

Una frase di Daniela ci lascia senza parola durante l’intervista, mentre racconta del papà.

Il mio primo amore è stato mio Padre.

Poche parole, che però danno l’idea di chi e cosa era Amerigo Bongiorno, non solo nei confronti della sua famiglia ma di tutti coloro che gravitavano nel suo intorno.

Conferma ne è anche l’insieme dei racconti di tutti i protagonisti di questa immensa storia che stiamo intervistando, non ultimo Michele Santomauro (leggi qui l’intervista allo storico barista), che ha vissuto il Barba come Presidente e come datore di lavoro.

Michele ci ha infatti raccontato di quando Bongiorno lo ospitava a casa, occasioni uniche per orecchiare lo scambio di telefonate con Moratti o Fraizzoli, oppure le richieste di preparare un caffè e girandosi a servirlo c’era davanti Mazzola.

 

La riunione del venerdì e i preparativi per Milano

Il venerdì sera era il momento della classica, famigerata riunione settimanale del Club.

Se papà era a Riunione io stavo alla cassa. Oppure, quando i bus erano più di uno, già alla sera si preparavano gli affettati per i panini freschi che arrivavano freschi all’indomani. Si preparavano dei sacchetti per il viaggio.

Il viaggio per Milano era vissuto come una sorta di gita, con famiglie intere che salivano sui bus.

Io non partecipavo a tutte le partite, quindi molti dettagli non li ricordo, ma ho in mente che al rientro da Milano lungo tutta via Roma si sventolavano le bandiere e i cantava: “aprite le porte, arrivano i gran campioni”. Era una cosa che aggregava veramente tanto.

 

L’addio al Bar Marconi

Nel 1989 finisce la storia del Club nella sua prima sede. Avviene infatti il trasferimento da corso Marconi a via Cecchi, sede tutt’ora attuale.

Sapere che a distanza di sessantadue anni ci sono ancora persone che continuano a coltivare quel sogno, quella cosa straordinaria che ha creato papà, non può non farmi piacere. Vedendo l’ampliamento di ciò che è nato, perché era una piccola cosa, diventare una grande associazione, soprattutto dal punto di vista sociale mi inorgoglisce.

Sentivo spesso Aldo, e mi raccontava ciò. Lui si considerava figlio di mio Padre, infatti mi chiamava sorella.

 

Il momento dei saluti con dei regali inaspettati

Alla fine dell’intervista, Daniela ci dona tanti cimeli, molti appartenuti al Barba.

Un gagliardetto storico del Club con il simbolo del Gianduja, il biglietto aereo per una trasferta a Madrid, un attestato rilasciato dal Centro Coordinamento Inter Club, ma soprattutto un pallone del tempo, in cuoio, autografato da tutti i calciatori della Grande Inter.

E a tal proposito, c’è tempo per un ultimo aneddoto.

Il pallone è stato più volte richiesto a papà da parte di Luisito Suarez, ma lui non ha mai ceduto. Non glielo ha mai voluto nemmeno vendere.

Tutti cimeli che entrano di diritto a far parte della storia e del patrimonio materiale dell’Inter Club Torino.

Ed è donando un mazzo di fiori a tinte nerazzurre che ci lasciamo con Daniela e Jacopo, certi che ci sarà modo di incontrarsi ancora nel prossimo futuro, magari durante la festa già prevista per l’11 luglio proprio nei locali di quello che fu il bar Marconi.

Questo Club continua a vivere crescendo. State facendo un lavoro bellissimo. Sento la passione che mettete. È un vissuto che si va ad esplorare.

 

Inter Club Torino 1963

Una Storia, tante Storie..Intervista a Rodolfo D’Elia – 25/01/2025

Per il sesto episodio della rubrica Inter Club Torino 1963: una Storia, tante Storie…, sabato 25 gennaio abbiamo incontrato Rodolfo D’Elia, storico Socio fondatore del Club.

Questa volta si torna davvero alle origini. Rodolfo ha infatti vissuto sia la fase embrionale che quella della fondazione del Club, vicino al Barba e agli altri protagonisti della nascita del nostro Sodalizio.

Rodolfo ci attendeva con grande trepidazione, e ci ha ospitati nella sua casa di Guagnano (LE), dove ci siamo recati dopo l’intervista svolta con Michele Santomauro (leggila qui).

L’accoglienza è stata carica di amicizia, fratellanza e grande gioia; Rodolfo infatti ci ha subito tenuto a mostrarci la sua bottega da tappezziere, in cui custodisce i resti di stoffe e di alcuni lavori da ultimare, anche se ormai ha cessato l’attività da dieci anni.

Ed è proprio qui che inizia a raccontare la sua storia, iniziando dall’approdo in terra piemontese. Ma non prima di averci offerto il caffè, con una simpatica battuta.

Girate le tazze. Non ho detto svuotate le tasche.

 

Dall’emigrazione fino al ritorno alla terra madre

Arrivo a Torino nel 1959, e fin da subito ho avuto una grande passione per il mio mestiere: ho fatto il tappezziere per 65 anni, iniziando in via San Secondo e successivamente in via Santa Giulia. Sono orgoglioso che ancora oggi ci siano cinque-sei ragazzi che continuano a lavorare come tappezzieri, dopo essersi formati nella mia bottega.

Nutrivo però anche la volontà di ritornare nella mia terra, per dare un contributo, portando avanti un progetto. Gli anni settanta sono stati ottimi, l’economia era in espansione. Lascio infatti Torino nel 1966, per fare ritorno a Guagnano.

 

La raccolta fotografica

Dopo l’accoglienza in bottega, Rodolfo ci accompagna nella sua abitazione, che si trova al piano superiore dello stesso stabile.

Ed è grazie ad album con delle foto d’epoca che la storia e la vita del Club prendono forma, coi ricordi che si fanno sempre più vividi e gli occhi si illuminano di quella luce che solo i momenti più preziosi sanno far accendere.

Tante foto immortalano Rodolfo insieme al Mago, Helenio Herrera, a Jair, al Piede sinistro di Dio Mario Corso. Altre raccontano invece della sua presenza allo stadio (la più interessante con la bandiera dedicata ad Helenio Herrera), ma anche della vita al Bar Marconi e della presenza del Club al Meazza ma non solo – una in particolare è stata infatti scattata al Filadelfia di Torino, con lo storico striscione nerazzurro in bella vista.

La bandiera dedicata ad Herrera era stata realizzata proprio da Rodolfo in persona, con la scritta “Los aficionados de H.H. Inter Club Torino”. L’ho realizzata io, poi è stata utilizzata da altri in mia assenza durante l’anno del servizio militare. Con Herrera ebbi anche l’occasione di parlarci, ma non era di tante parole, e non si capiva molto.

Ciò che fa vibrare l’anima sono però le immagini scattate con la Coppa dei Campioni in casa Moratti. Rodolfo ce ne descrive una minuziosamente.

Questa fotografia ci vede presenti alla grande festa organizzata dalla Famiglia Moratti presso la propria villa di Imbersago. Era una festa stile Beverly Hills, con personalità di alto rango, la parte più rappresentativa della Milano bene. E c’eravamo anche noi.

Il ricordo è quello di una tenuta immensa, con il ritrovo organizzato all’interno di un salone grandissimo, tutto imbandito. Il Presidente Moratti viene descritto come una persona eccezionale, molto disponibile.

E’ stata un’emozione unica poter toccare con mano la Coppa dei Campioni, ed allo stesso tempo un privilegio essere invitati per l’occasione. La delegazione dell’Inter Club Torino era composta de me, dal “Barba” (Amerigo Bongiorno, ndr) e da sua figlia Daniela, e da Pier Luigi Cugnasco (primo Presidente della Storia del Club, firmatario di Atto Costitutivo e dello Statuto, aggiungiamo noi).

Sono tante altre le foto che ci vengono mostrate: una a Vienna, dopo un viaggio durato ben venti ore; un’altra con il cognato di Rodolfo, Luigi Leone, anch’esso uno dei primi Consiglieri del Club; un’altra ancora con il nipote Fernando che aveva scritto “Jair incubo di Belgrado”, dedicato ad una storica partita di Coppa dei Campioni del 1964 contro il Partizan; un’ultima in gruppo sotto le insegne del Caffè Marconi, appare in bella vista uno striscione, che recita “Lotterem ognor compatti per Herrera e per Moratti”.

E relativamente all’ultima foto e allo striscione, la precisazione. All’epoca non c’era niente di stampato, le lettere venivano tagliate una ad una e cucite.

 

La storia nel Club

Tutto ebbe origine grazie alla rivista Inter Football Club, tramite la quale Rodolfo ci confessa di essersi messo in contatto con i primi referenti del nascente Club.

Il mio percorso inizia con Peppe Astigiano, col quale ci siamo incontrati al Bar Marconi, dove lui sapeva che c’era già in gestazione la nascita dell’Inter Club Torino. Poi i dettagli e tutti i personaggi non li ricordo, è passato troppo tempo.

Un ruolo di primo piano quello di Rodolfo all’interno del Direttivo.

Nella fase embrionale era già una realtà anche se non organizzata, era il “Covo degli interisti”. Io mi occupavo soprattutto del lato organizzativo del tifo, trasferte, striscioni, il caos che bisognava fare, ecc. Sono stati periodi molto belli. Ho passato cinque anni nel Club, prima del ritorno a Guagnano.

Le ultime trasferte organizzate da Rodolfo, anche da esterno al Club, furono Roma-Inter di Campionato (2-1, 12 dicembre 1982) e Inter-Groningen (5-1, 2 novembre 1983) di Coppa UEFA, giocata a Bari perché il Meazza era squalificato.

Non può comunque mancare un ricordo di Amerigo Bongiorno.

Il Barba era una grande persona, molto disponibile, ferreo nelle sue osservazioni. Stimatissimo a Milano, avere creato un Club dell’Inter a Torino dava molto credito.

E paragonando il passato con il presente, ci sono più similitudini di ciò che si pensi.

Al tempo si aspettava mezzanotte per avere qualche notizia sulle partite in trasferta dell’Inter, oggi ci sono i social. Posso dirvi che i costi per seguire la squadra erano paragonabili a quelli di oggi, se si contestualizza bene.

 

Tante trasferte

Durante i diversi viaggi per seguire l’Inter, Rodolfo era spesso presente.

In linea di massima a Milano c’ero quasi sempre. Poi sono stato a Vienna, allo spareggio scudetto col Bologna (7 giugno 1964, Stadio Olimpico), faceva talmente caldo che, ricordo, Corso si metteva il ghiaccio dietro alla nuca. Su quello scudetto perso ci furono molte ombre.

Sono stato anche a Madrid per lo spareggio di Coppa Intercontinentale Inter-Independiente, vinta 1-0 con gol di Corso ai supplementari.

Sono tante le partite che a cui Rodolfo ha assistito insieme agli amici dell’epoca con il Club, grazie ai bus che partivano da Corso Marconi. Sono passati tanti anni, e non è di certo facile ricordare tutti i dettagli.

 

Il filo diretto tra Guagnano e Torino

Risulta sicuramente particolare come ci sia questo filo diretto tra Guagnano e Torino, dato che tante persone provenienti dalla cittadina salentina si sono ritrovate a Torino.

E’ sicuramente una coincidenza, nulla di più, ma fa comunque piacere, ci confessa Rodolfo.

E sulla nostra imbeccata in merito alla possibilità di tornare a Torino, le possibilità appaiono limitate.

Fino a qualche tempo fa avevo il desiderio di spostarmi, di girare. Torino mi è sempre piaciuta, avevo tanti amici, tra lavoro e sport. Ci vive una delle mie due figlie, con la famiglia. Dieci anni fa ho perso mia moglie. Sono talmente preso dagli impegni, non ho più le forze e il tempo, anche se il pensiero resta…

 

Il ricordo dei calciatori

Alla richiesta di indicare un calciatore preferito, Rodolfo ci confessa come ce ne sarebbero molti, ma il tempo trascorso non aiuta a ricordare tutti. Un paio di nomi ce li da comunque.

Facchetti sicuramente, anche se, come persone, ne ricordo altri con molto piacere. Guarneri, molto corretto nei confronti di tutti. Il calciatore più disponibile che ho conosciuto è stato Sandrino Mazzola, molto educato.

E a proposito di calciatori, ci racconta un aneddoto.

Mentre salutavamo la squadra dopo una partita, mi avvicinai a Suarez il quale non mi ha soddisfatto, mi ha quasi schivato.

 

E’ il momento del congedo

Tornare a parlare di quegli anni, della nascita del Club, non può che aver suscitato in Rodolfo sensazioni particolari.

Bella, fa molto piacere. Quando c’è la continuità cosa si può pretendere di più? Vuol dire che sta andando tutto bene.

I saluti finali non potevano avvenire altrove che in bottega, dove è iniziata la nostra chiacchierata.

L’emozione e la voglia di stare insieme erano talmente grandi tanto che Rodolfo ci ha regalato una stoffa, come ricordo del suo passato e del suo mestiere, come segno di gratitudine e come cimelio per fissare nella memoria la nostra visita.

Un enorme grazie a Rodolfo, per l’amicizia, l’ospitalità, il racconto, le preziosissime informazioni, le strepitose foto e per aver contribuito a fondare e rappresentare il nostro storico e glorioso Club.

E Rodolfo ci regala una speranza, ringraziandoci a sua volta.

Grazie a voi, sono stati momenti bellissimi. Magari ci rivedremo…

Inter Club Torino 1963

Una Storia, tante Storie..Intervista a Michele Santomauro – 25/01/2025

Per il quinto episodio della rubrica Inter Club Torino 1963: una Storia, tante Storie…, sabato 25 gennaio abbiamo incontrato Michele Santomauro, storico Socio e soprattutto barista del Bar Marconi, prima sede dell’Inter Club Torino.

Questa volta siamo andati fino a Guagnano, in provincia di Lecce, dove oltre a Michele abbiamo avuto il piacere e l’onore di incontrare Rodolfo D’Elia, uno dei padri fondatori del nostro sodalizio, il cui nome compare proprio sull’atto costitutivo che gelosamente custodiamo in forma originale nel nostro archivio.

Una pura coincidenza? Una storia di migrazione locale come tante altre? Non lo sappiamo esattamente, ma è particolare sottolineare come tre protagonisti della storia dell’Inter Club Torino siano nativi di Guagnano. Michele è in realtà di Minervino Murge (BT), ma da molto tempo ormai residente nella cittadina del leccese.

L’incontro è stato organizzato dal cugino di Michele, il nostro carissimo amico e membro dei Giovani Leoni Antonio Sabatoleggi l’intervista che abbiamo realizzato con Antonio.

L’accoglienza è stata calorosissima, anche grazie a Rosanna, moglie di Michele. E l’atmosfera non poteva che essere magica, resa ancor più vibrante dal racconto della storia del Club.

 

L’arrivo a Torino

Michele parte subito con il racconto della sua storia, comune a tanti altri che dal Sud sono andati via per cercar fortuna in settentrione.

Sono nato nel 1956, a Minervino Murge (BA), e nel 1966 mi trasferì a Torino con la famiglia, quartiere Vallette. Erano gli anni dell’emigrazione, Torino contava 400 mila abitanti, e durante l’industrializzazione si vedevano case sorgere come noccioline, là dove prima c’erano campi e spazi aperti.

All’età di 17 anni, tra il 1972 e il 1973, Antonio Barbato, barista del Barba (ndr. Amerigo Bongiorno, storico presidente del Club) e tifoso napoletano, che giocava nella squadra di calcio dell’Inter Club Torino allora esistente, mi fa assumere al Bar Marconi, dopo una prova di 15 giorni. Per me era un sogno, perché interista e invitato dal Barba in persona ad iscriversi a Club, oltre che a partecipare alle attività e alle trasferte.

 

L’incontro con la moglie

Come molto spesso è capitato, fra le fila del Club sono nate tante storie d’amore. Ed è anche il caso di Michele, che ha incontrato Rosanna proprio al Bar Marconi.

Conoscevo Donatella, una affezionata cliente del Bar. Un giorno la invitai a fare domanda di assunzione, e il Barba la accolse a braccia aperte. Prima di partire per il militare, mio cugino Antonio, in occasione di un veglione, invitò Rosanna (sua prima cugina) ad avvicinarsi al Club.

Al Bar Donatella e Rosanna si conoscono e nasce una grande amicizia, che porterà poi alla nascita della storia d’amore con il nostro Michele.

Nell’ottobre 1976, quest’ultimo parte per la leva, a Roma presso la caserma Cecchignola (Arma del Genio), accompagnato alla stazione dai ragazzi del Club che lo salutano con grande commozione.

In occasione di una licenza Donatella mi presentò Rosanna, e subito scattò qualcosa, il feeling fu immediato. Durante il servizio militare ci fu un intenso scambio di corrispondenze. Al mio rientro dal militare iniziammo a frequentarci. Il Club ci aveva uniti.

Ma la storia fra Michele e Rosanna non è la sola a svilupparsi in quel periodo. Infatti, anche Donatella trova l’amore, iniziando a frequentarsi con Valerio, il figlio del Barba, che diventerà poi suo marito.

 

Amerigo Barba Bongiorno

Una parte dell’intervista non poteva che essere dedicata ad Amerigo Bongiorno, come del resto anche tutti gli altri nostri amici con cui abbiamo condiviso l’esperienza di questa rubrica hanno fatto.

Il Barba aveva un’aria burbera, ma un cuore grande. Sotto il bar c’era una cantina, grande come il piano superiore, dove lui ospitava un senzatetto di notte, dove aveva allestito un giaciglio su una brandina. Aiutava anche un cieco, facendogli degli scherzetti bonari per farlo stare bene.

Era però durissimo contro i furbi e i faccendieri, li sbatteva fuori dal Bar. L’ambiente vissuto per circa 20 ore al giorno era sempre tenuto in ordine grazie alle regole imposte. “Il Club deve essere pulito, non deve gravitare nulla di sporco intorno o all’interno”, diceva.

Infatti, sebbene molti locali della zona fossero poco raccomandabili (come spesso avveniva nelle zone limitrofe alle stazioni ferroviarie, soprattutto un tempo), il Bar Marconi rappresentava un’eccezione. Ed anche i membri del Club erano costretti ad adottare comportamenti idonei, pena l’allontanamento.

Faceva di tutto per renderci felici. Ci portava i calciatori sul pullman, ci portava negli spogliatoi, a turno ci faceva entrare allo stadio (al Meazza era una personalità), regalava distintivi e la tessera. Ricordo delle visite improvvise di giocatori dell’Inter: “Un caffè per favore”, ti giravi e di fronte c’era Mazzola. Il Barba era come un passaporto, a Milano, in Società, ovunque. Era un’istituzione.

Il rapporto che aveva con Moratti e Fraizzoli certificava il suo carisma. Abitava dalla parte opposta a piazza Marconi. Quando la domenica non c’era la partita ed io facevo lo spezzato, andavo a mangiare a casa sua. Era l’occasione in cui orecchiavo tutte le sue telefonate col Presidente Fraizzoli, quando doveva organizzare il Gianduja d’Oro, con l’avvocato Prisco.

Michele ha vissuto Bongiorno sotto la duplice veste di amico e di datore di lavoro. Un punto di vista esclusivo che in pochi possono vantare.

Il suo animo era come quelli che al giorno d’oggi è difficile trovare: coinvolgeva i giovani, organizzava eventi, aiutava chi era in difficoltà. A quell’epoca si usava il jukebox, e lui tutte le mattine alle 6:00 metteva “Va pensiero”, ricordando la sua natura di alpino.

Ed anche in punto di morte del Barba, Michele in qualche modo può dire di essergli stato vicino.

Mio nipote era ricoverato all’ospedale Molinette, al tempo in cui Bongiorno era moribondo e anch’esso lì in cura. Di lì a pochi giorni, purtroppo morì.

 

Il Bar Marconi

Il regno del Barba era il Bar Marconi, un universo a tinte nerazzurre dedicato all’Inter Club Torino.

Ed anche chi vi lavorava all’interno, indossava i colori sociali dell’Inter: la divisa dei dipendenti del Bar era nera con bande azzurre. Il Barba ha creato tutto da un bar. In quel bar e in quel Club si poteva tranquillamente girare un film.

E del resto, il Marconi non era un locale come tutti gli altri, anche complice il fervido traffico della zona.

Intorno al bar girava tutto un mondo. Dalle 6 del mattino la zona di piazza Marconi era un condensato di persone, bus, mezzi intercomunali, negozi, uffici, dipendenti, tutti in movimento. Si è vista perfino la prima taxista donna, in quegli anni.

Poi c’era la parte serale della vita, che vedeva il Bar aperto fino alle 2:00 di notte.

 

La squadra di calcio

Il Club non era solamente aggregazione in occasione di partite e riunioni, ma si poteva toccare con mano l’impegno verso i Soci, che attivamente ne partecipavano alla vita.

Prova ne è la creazione della squadra di calcio dell’Inter Club Torino, in cui c’era spazio anche per Michele.

Io ero un terzino destro di valore. Facevamo i tornei, e c’era tantissima gente che ci seguiva. Roberto Di Carlo, mio grande amico, non giocava, ma non si perdeva una partita.

 

L’organizzazione dei bus per Milano

Quando l’Inter giocava in casa nel fine settimana, il venerdì era serata di festa, dato che si svolgeva la classica riunione e si organizzava il viaggio. Vi partecipavano anche i Soci, per cui i clienti non riuscivano ad entrare.

Nella sala c’era un tavolo da ping-pong (giocavamo assiduamente con Roberto Di Carlo), che per gli incontri associativi veniva coperto con una tovaglia nerazzurra ed usato come base.

Mediamente per Milano partivano due bus, si arrivava ad organizzarne anche cinque/sei quando si giocava contro Milan, Juve, e le altre grandi sfide.

I mezzi venivano preparati già dal mattino presto, immaginate cosa si addensava in zona bar, si parlava di 250/300 persone in attesa di partire. Durante il viaggio si familiarizzava, con Bobo (Emidio Piccioni, ndr) avevo un bellissimo rapporto, ci sedevamo insieme.

E nonostante le difficoltà legate al lavoro, Michele ci teneva ad essere presente alla vita del Club.

Col Barba c’era una sorta di accordo: lavoravo di più quando l’Inter affrontava squadre di rango inferiore a patto che mi riservasse un posto sul bus contro le grandi squadre.

 

Il Meazza

Delle mie esperienze allo stadio ricordo che, a differenza di oggi, le partite di inverno erano una vera e propria prova di resistenza. I seggiolini non c’erano, ci accoglievano le gradinate ricoperte di ghiaccio. Cercavamo di porvi rimedio col mitico cuscino, ma dopo un po’ si ghiacciava pure quello.

Nebbia, gelo, freddo, erano un ostacolo durissimo. All’epoca era tutto scoperto, il terzo anello non esisteva.

 

L’addio al Bar Marconi…

Al ritorno dalla leva, settembre 1977, in prospettiva del matrimonio, Michele chiede un aumento al Barba, ma la situazione non lo consentiva.

Nel 1978 mi licenziai dal Bar Marconi, accettando le condizioni economiche molto più alte della Birreria Mazzini, in via Lagrange. Il rapporto col Barba rimase comunque ottimo, tanto che mi chiamava saltuariamente per sostituzioni, anche per lavorare in occasioni di serate piene

L’addio al bar non ha comunque interrotto i numerosi rapporti creati.

Al matrimonio con Rosanna (22 luglio 1979) c’erano tantissimi amici del Club, che continuavo a seguire, tra i quali la moglie di Antonio Leone (componente del primo consiglio del Club e firmatario dello Statuto e dell’Atto Costitutivo, ndr).

 

Il Gianduja d’Oro

La manifestazione ideata proprio dal Barba non può che avere un posto speciale nel cuore di Michele.

Ricordo con piacere che tale evenienza coinvolgeva gli interisti di tutta Italia. Nello specifico, ho chiaro in mente una premiazione al ristorante “Il Mago” di Caluso, i partecipanti erano talmente tanti che non ci stavano tutti, nonostante le dimensioni enormi dei locali.

 

Il ritorno alla terra madre

Nel 1981 mi metto in proprio, avviando una latteria in via Saluzzo 85. Nel 1987 Rosanna ottiene il trasferimento all’ospedale di Lecce, e decidiamo quindi di lasciare Torino ed andare a vivere a Guagnano, sua città natale.

La vita a Guagnano scorre tranquilla, Michele infatti entra a lavorare in Regione e vi rimane fino al 2020, quando va in pensione, dopo ben quarantotto anni di lavoro.

 

Le emozioni finali

Michele ci congeda con le parole commosse di chi ha rivissuto attimi, istanti, anni belli ed indimenticabili.

Ho ancora quei momenti e quegli amici nel cuore… e sapere che a sessanta anni di distanza ci sono ancora persone che portano il Club avanti mi porta emozioni intense. Vorrei usare le parole del mio amico Roberto Di Carlo, per farvi capire: “avete preso una bella gatta da pelare…”.

C’è ancora tempo per un ultima battuta.

Dopo l’intervento al cuore il cardiologo mi ha detto che devo evitare le forti emozioni, poi siete sbucati voi. Vi ringrazio per avermi riportato a quegli anni e per il lavoro che fate, continuando a raccontare e a tener viva quella storia magica.

 

Inter Club Torino 1963